Sono Elena Sofia Doria. Sono una formatrice e service designer. Esploro temi come il turismo sano e sostenibile, la comunicazione interculturale e il customer service. Il Design Thinking è il mio faro quando insegno, penso e progetto.
Serena, la chef in controtendenza.
Serena, la chef in controtendenza.

Serena, la chef in controtendenza.

Serena, la chef in controtendenza ha deciso di aprire un locale gourmet nel quartiere con la peggior reputazione di Venezia. La sua cucina è speciale. Non solo perché usa prodotti locali e biologici. Ma anche perché ha studiato una formula per nutrire in modo sano quelli che lei chiama onnivori consapevoli.

C’era una volta un quartiere di nome Marghera.

Marghera aveva un grande potenziale: avrebbe potuto essere una fucina di idee creative ed un quartiere innovativo. Purtroppo però aveva una pessima reputazione. Nessuno credeva in lei e la gente si spaventava quando gli veniva chiesto di andarci. La povera Marghera rimase per anni la più brutta e la più svilita fra i quartieri del reame, sola nel mezzo del suo abbandono. Ma un giorno finalmente arrivò qualcuno che vide il bello nascosto dietro al grigio delle sue fabbriche. Il suo nome era Serena, una giovane chef.

Il laboratorio di idee.

Serena inizia a raccontarmi la storia del DIME bistrot da Fusina, una zona di Marghera il cui nome significa “fucina” o laboratorio. Ed il Dime può davvero essere definito un laboratorio di idee enogastronomiche innovative.

“Abbiamo scelto di fare un prodotto importante in un posto umile e con una pessima reputazione.”

Si capisce subito che Serena è una rivoluzionaria, una Bastian contrario. Proprio perché tutti vanno giù, lei va su.

“Ho deciso di aprire il mio locale in una delle zone più al limite per andare in controtendenza con sua fama.”

Marghera è la Cenerentola del comune di Venezia. Il suo nome fa pensare a fabbriche, inquinamento, zone pericolose. Per questo Serena e la sua squadra l’hanno scelta: vogliono dimostrare che la qualità può esistere anche in un luogo semplice. Metti l’indirizzo del Dime bistrot su Waze e man mano che ti avvicini attorno a te cominciano ad apparire edifici abbandonati e fabbriche. Storci il naso. Il tuo cervello è in modalità “allarme decadenza”. Il navigatore ti avvisa che sei arrivato. Ti guardi intorno e qualcosa attrae la tua attenzione. Ha l’aspetto di una fabbrica ma ti sembra più bella, di design. Quello che sembra un grande stencil bianco raffigurante un coltello ed una forchetta spicca su un muro rosso ruggine. E poi vedi dei tavolini, una grande vetrata. Dei fiori. È una fabbrica di cibo ben camuffata.

“Certo che la nostra è una fabbrica. Una fabbrica di idee, cultura e cibo.”

Il locale è un vecchio magazzino industriale recuperato dall’abbandono e rimesso a nuovo. Serena rimane coerente anche nella scelta dell’architettura e del design del suo ristorante: in sintonia con l’ambiente ma in modo innovativo e raffinato.

Cos’è la cucina per onnivori consapevoli?

Dicesi onnivoro consapevole colui che attraverso le sue scelte alimentari e quelle di consumo cerca di concedersi un po’ di tutto con delle piccole attenzioni. Questa è la definizione che mi dà Serena. Ma ho bisogno di più chiarezza. Ci sono certo le cose “golose”, come le definisce Serena. Ma carne, pesce e formaggi sono combinate consapevolmente. Quindi se anche ordini un primo, un secondo e ma sì, anche uno sfizioso dessert, quando ti alzi da tavola non avrai l’urgente bisogno di divano e pennichella.

dime
“Siamo un locale gourmet ma abbiamo voluto mantenere una coerenza con le nostre origini e con il territorio da cui proveniamo. Noi cerchiamo di servire delle combinazioni di alimenti che all’interno di un menù non abbiano un apporto proteico superiore al 30%. Menù molto vegetale e territoriale insomma. Non si tratta solo di bilanciare i gusti, ma anche gli apporti nutrizionali. È un piacere non solo edonistico ma anche consapevole”.

Per questo il menù è, diciamo, poco democratico. O meglio la scelta è limitata, ti devi affidare ad un percorso enogastronomico guidato. Naturalmente l’onnivoro consapevole ha la possibilità di dichiarare i propri gusti, ma il gioco è lasciarsi andare e fidarsi di quel lavoro di ricerca a cui Serena ed il suo staff dedicano l’80% della loro vita. Sì, parla di vita, non di lavoro.

“È un’esperienza e può essere interiorizzata in modo diverso.”

C’è chi vuole solo alzarsi e dire “aaah ho mangiato proprio bene”. Chi cerca un modello in cui riconoscersi e quindi avere la possibilità di consumare anche fuori dai propri piani cottura piatti che facciano davvero bene all’ organismo. E chi è più interessato alla parte etica, quindi all’attenzione verso il prodotto, la sua provenienza e la sua lavorazione.

 

Una delle prime domande che mi pogo quando mangio fuori è che tipo di prodotti verranno elaborati e poi serviti sul mio piatto. Nel 2020 dovremmo avere un bagaglio di informazioni e verità sufficienti da domandarci sempre se quello che mangiamo è stato “pompato” da antibiotici e agenti chimici o se rispetta il flusso della natura. La cassa di meravigliosi carciofi violetti di Sant’Erasmo sul banco della cucina mi conferma che Serena predilige piccoli produttori locali.

“Scegliamo aziende che vogliono bene a sé stesse e vogliono bene ai loro prodotti.”

Conoscendo il “pedigree” di Serena mi viene spontaneo chiederle perché una chef giovane e brillante come lei, con la possibilità di lavorare nei ristoranti più rinomati nel mondo, abbia comunque scelto di rimanere qui, a Marghera.

“Credo nella controtendenza. Sono contro gli stereotipi.”​

Penso a Brooklyn, a Kreuzberg, a Soho. Quartieri di città famose come New York, Berlino e Londra che fino a 20 o 30 anni fa venivano definiti pericolosi, sciatti e decadenti. Privi del più minimo interesse. Poi è nata la cultura hipster, interessata ai pattern nuovi e non convenzionali della moda, della musica e dell’architettura. Grazie a questa cultura i locali come quello di Serena, in controtendenza con l’ambiente, eccentrici proprio per il loro essere diversi ma con qualità, si sono diffusi a macchia d’olio. Inutile dire che in queste città gli investimenti per la riqualificazione ed il rinnovo non hanno tardato ad arrivare ed il valore immobiliare a schizzare alle stelle.

Ma perché città come New York, Londra e Berlino hanno saputo riconoscere la bellezza dietro a quartieri Cenerentola e Venezia no?

“Noi siamo stati i primi e attualmente gli unici a Marghera. Ma dopo 5 anni siamo felici di essere rimasti.”

Ecco perché Serena è un host-eroe. Crede che dietro le “pessime reputazioni” ed il degrado ci sia la bellezza. Come Cenerentola, che ripulita un po’, è diventata una bellissima principessa.

 

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