A Giuseppe Verri non basta una definizione. È impossibile ottenere una definizione univoca da quelli come lui. È della stirpe dei curiosi, di quelli che scavano dentro le proprie passioni finché non ci trovano l’innovazione.
Nato a Roma, Giuseppe vive da 20 anni a Lanuvio, nel cuore del Parco dei Castelli Romani. Qui ha aperto con la famiglia un’azienda agrituristica: il Casale della Mandria. Giuseppe è ingegnere ma non ama l’ordine che grida. In effetti sembra non esserci alcun ordine in grado di legare le sue passioni. È apparentemente un caos.
Ascoltando Giuseppe e osservando i dettagli però, lentamente tutto comincia ad avere un senso. La scultura, la campagna, la cucina e l’ingegneria sono legate da un filo invisibile. È chiaro che la vera esperienza è vivere le passioni di Giuseppe lasciandosi trasportare da lui e dal suo Casale.
Improvvisamente ti sarà chiaro il suo ordine silenzioso.
Il cuoco.
Giuseppe agisce e funziona di pancia. Ecco perché per comprenderlo è importante lasciare spazio alla propria di pancia: l’istinto e l’amore per la buona cucina sono gli elementi chiave per un’esperienza al Casale.
Dice di proporre una cucina semplice, ispirata a quella della mamma. Pomodoro, grano e un pizzico di contaminazione dalla tradizione del luogo: i Castelli Romani. Eppure al Casale nulla è banale. Tutto spiazza. Come la focaccia chiamata maza. Un impasto di 4 farine con ben 15 giorni di lievitazione. È unica nel suo genere, soprattutto perché ha più di 2000 anni ed è figlia di un culto religioso del Lazio arcaico. Un’ innovazione sulle tavole italiane nonostante la sua veneranda età. La leggenda delle Vergini e del Serpente raccontata da Giuseppe nella video-intervista, aiuterà a capire quanto la sua cucina sia fatta di storie oltre che di sapori.
L’artista.
Giuseppe ha quasi 50 anni e scolpisce da 36. Le sue opere sono ovunque, il Casale ne è disseminato. La più sorprendente? Quella ispirata a Viola, sua figlia. Una bimba di 8 metri che coglie fiori in un prato. Alle sue spalle i Colli Albani ed i paesi dei Castelli Romani la rendono un’opera particolarmente suggestiva. Giuseppe è un artista, le sue opere contemporanee continuano ad attirare l’attenzione di curatori e critici di una certa caratura e sono state esposte in mostre internazionali. Eppure lui mantiene una semplicità disarmante: un visionario con l’animo e gli occhi di un bambino.
L’aver mantenuto vivo e presente il suo bambino interiore ha permesso a Giuseppe di rielaborare immagini nate durante l’infanzia e renderle oggi opere d’arte. Come l’esercito dei mille guerrieri contadini. I Polusca. Sono sculture in ferro alte 30 cm che hanno una missione: conquistare il mondo viaggiando. Anche lo studio delle forme e del materiale non è casuale. Giuseppe ha voluto usare il ferro perché è un materiale ossidante, soggetto all’umidità. Per sua natura cambia aspetto. Il perché del nome Polusca ha dell’incredibile. Lo racconterà Giuseppe nella video-intervista.
Il contadino.
Ho incontrato Giuseppe per la prima volta nel suo Casale a Lunuvio, nel cuore della campagna romana. Appena scesa dall’auto ricordo di essere rimasta spiazzata da una porta viola erta sola nel mezzo di un prato. Niente muri, solo una semplice porta viola. Dietro, a qualche metro di distanza, un casale di campagna. Ricordo di aver notato una strana macchina nel fondo del giardino. Sputava del fogliame verde scuro. Più ci mi avvicinavo, più sentivo un odore speziato molto intenso, con note amare e dolci. C’era un gruppo di nonni seduti attorno ad un tavolo lungo, completamente coperto di quel fogliame. Muovevano le mani velocemente prendendo e scartando rami. Ridevano e chiacchieravano.
Ricordo di aver pensato alla profondità e alla gentilezza sentendo per la prima volta la voce di Giuseppe. Alto, dai lineamenti marcati. Potrebbe incutere un certo timore se non fosse per lo sguardo dolce e fanciullesco. Quella macchina è una rielaborazione del Giuseppe ingegnere. Un sistema ben studiato per togliere i fiori del luppolo dai rami. La ricerca per l’innovazione ha portato Giuseppe a scoprire il luppolo, a dargli fiducia ed infine ad innamorarsene. Producendo birra in un territorio particolarmente famoso per il vino, come quello dei Castelli Romani, è riuscito ad essere innovatore pur rispettando le leggi della natura. Il luppolo autoctono italiano esiste e sono stati rinvenuti vari esemplari, oltre che nel Lazio, anche in Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino, Toscana ed Emilia Romagna.
Il famoso storico d’arte Philippe Daverio, oltre ad aver riconosciuto la visione artistica di Giuseppe, ha anche capito che la sua passione potrebbe essere frutto del suo patrimonio genetico normanno riscoperto di recente. Farsi spiazzare e rimanere incantati ascoltando i racconti di Giuseppe è una prerogativa quando si decide di avere a che fare con lui. E così succederà ascoltando la sua video-intervista: vi sarà ancora più visibile il filo che con ordine silenzioso, unisce il luppolo, l’arte contemporanea, la terra e la cucina più antica possibile. Buona visione!