Gli Host-Eroi e il vero turismo esperienziale
By ELENA SOFIA DORIA
Tariffe non controllate, concorrenza spietata, cittadine fluttuanti che scaricano masse di gente disposte a pagare il loro pranzo non più di 8€.
E che sia cappuccino con pizza surgelata sennò niente.
Mezzi di comunicazione che corrono troppo e seguono regole che si chiamano algoritimi.
“Algoritimi ? Io in matematica avevo 5 scarso”.
Chi ti dice cosa vuole il cliente, chi ti dice abbassa i prezzi, chi ti dice vendi tua nonna. Non si capisce più niente. C’è da impazzire ad essere un host al giorno d’oggi.
Già perché, anche grazie ai grossi portali online, è diventata di uso abbastanza comune questa parola anglofona che a me, onestamente, piace molto.
HOST : colui che ospita. L’ospite.
Ospite. La persona che accoglie temporaneamente uno o più
altri nella propria casa, anche solo nell’occasione di una visita o di
un trattenimento.
Però in italiano il termine ospite è usato anche per indicare chi viene ospitato e senza voler mancare di rispetto all’Accademia della Crusca, lo trovo un po’ confondente.
Quindi mi vorranno perdonare gli anti-inglesisti se userò questa parola, ma a volte prendere in prestito termini “foresti” può risultare di grande utilità.
Covid o non Covid il turismo esperienziale, la sostenibilità e il turismo lontano dalle masse sono temi di cui sono innamorata forse da sempre e a cui ho dedicato i miei sforzi professionali negli ultimi 5 anni.
I miei ricordi d’infanzia sono costellati da esperienze e profumi dell’Italia nascosta. Ricordo ancora il gusto del panino al pecorino e salame di Norcia mangiato nell’Audi 80 di mio padre; ci riparavamo dalla pioggia in attesa di proseguire il nostro roadtrip Umbro.
Quel chiosco è stato, oltre che salvifico, un’esperienza sensoriale impossibile da cancellare dalla memoria. Avevo 5 anni e ancora oggi che ne ho 33 mi si riempie la bocca di “acquolina” quando ci penso.
Quindi dopo 20 anni, quando da imprenditrice di un’azienda turistica ne ho avuto la possibilità, ho sentito la necessità di ricercare quei chioschi, quelle botteghe in cui si finisce per caso, quelle chiesette chiuse che nascondono tesori di cui si sa poco.
Vedendo la trasformazione di Venezia, la città in cui ho vissuto e lavorato per anni, avevo poche speranze di trovare quello che cercavo. Ero convinta che il mostro Turismodimassa si fosse già fagocitato tutto e tutti.
Ma mi sbagliavo. C’erano, laddove i grandi tour operator non arrivavano, nelle regioni troppo complicate da pronunciare; persino in angoli di città ormai quasi totalmente al servizio di Turismodimassa.
Ho scoperto realtà da sogno. Da sogno per me che le porto nei miei ricordi di bambina; per i viaggiatori che sanno benissimo che il cappuccino non si mangia con la pizza; per chi vuole essere ancora orgoglioso di essere italiano.
Certo molte erano agonizzanti con bisogno di grandi sorsate di energia, speranza e progetti concreti. Altre lottavano come diavoli per non perdere la loro anima ma che faticavano ad adattarsi ad un mondo che corre troppo e che l’anima gliela vorrebbe comprare.
Ho ascoltato nonne allo stremo che nonostante l’insistenza di figli con ambizioni “facili” e “veloci” portavano avanti ristoranti senza cedere a prodotti di scarsa qualità o a menù turistici.
Certo aiutate da fedeli mattarelli maneggiati ancora ad arte.
Ho visto agriturismi che si accontentavano di un pugno di briciole pur dando un servizio da Buckingam Palace se sei la Regina.
Una cosa fra tutte mi ha meravigliato.
I nipoti.
Tanti giovani, ventenni e trentenni, sono corsi in difesa delle loro nonne, dei loro ricordi d’infanzia. Hanno voluto ritornare nelle loro case in comuni remoti dell’Italia contadina e operaia.
Stiamo parlando di potenziali manager di multinazionali straniere con in mano lauree e master.
Questi eroi hanno deciso di indossare il mantello, fare i bagagli e lasciare le Milano e le Bologna vibranti per progetti più ambiziosi. Ambiziosi perché la posta in gioco qui era il cuore. I ricordi. La famiglia.
Li ho chiamati host-eroi .
Sanno cos’è un algoritmo di Instagram, ma sanno anche che servire in tavola i prodotti del loro orto è meglio. E forse anche più vantaggioso.
Voglio omaggiarli quindi perché grazie a loro ho ritrovato la speranza. E voglio regalare a chi mi leggerà uno spaccato di Italia che va preso come esempio.
È un regalo sotto forma di storie di realtà umane che risveglieranno ricordi e sensi. Che ispireranno. Che faranno venir voglia di commuoversi, viaggiare e cambiare.
Godetevele amici!