Sono Elena Sofia Doria. Sono una formatrice e service designer. Esploro temi come la strategia aziendale, la comunicazione interculturale e il customer service. Il Service Design è il mio faro quando facilito, penso e progetto.
Anna, la veneziana che ha portato il Messico a Venezia.
Anna, la veneziana che ha portato il Messico a Venezia.

Anna, la veneziana che ha portato il Messico a Venezia.

Prima la cucina italiana. C’è chi vede nei ristoranti etnici una minaccia. Essenzialmente una minaccia alle tradizioni locali, all’imprenditoria locale e sì, anche all’identità locale. Questi ristoranti poi sono anche poco affini con il concetto di sostenibilità: se sostenibilità è scegliere un’alimentazione a chilometro zero, allora com’è possibile essere sostenibili utilizzando prodotti non autoctoni?

Ma siamo sicuri che i pomodori e le arance della nostra italianissima dieta siano davvero italianissimi?

In Italia ci sono 50.000 ristoranti etnici (dati 2012 Fondazione Leone Moressa). È indubbio che una buona percentuale di italiani senta il bisogno di variare la rispettata e rinomata dieta. Alcuni lo fanno per reminiscenze di sapori scoperti durante i viaggi; altri perché “fa figo”; altri ancora per pura e sana curiosità verso altre culture.  

 

"Il cibo da elemento della natura diventa elemento della cultura in quanto inventa e trasforma il mondo. Un piatto di spaghetti al pomodoro non è solo un cibo, ma è il simbolo dell'identità culturale di un paese.”
Il cibo come cultura
Massimo Montanari

Come sappiamo l’evoluzione del cibo è stata possibile grazie ad “interventi esterni”, o meglio ad influenze di culture gastronomiche provenienti dall’esterno. La cucina peruviana per esempio ha un grande successo oggi proprio perché è stata influenzata da moltissime culture nel corso dei secoli: dalla cinese-cantonese alla giapponese; dall’italiana alla spagnola; dall’africana alla francese.

 

“Interculturalità. L’instaurazione e il mantenimento di rapporti culturali come forme di dialogo, di confronto e di reciproco scambio di conoscenze tra paesi o istituzioni o movimenti diversi.”
treccani

La storia di oggi racconterà l’interculturalità al contrario. Non sarà un imprenditore straniero ad importare una cultura gastronomica esotica nel Bel Paese, bensì un italiano, anzi un’italiana.

Il Messico è stato il primo viaggio di Anna con la “v” maiuscola. Se n’è innamorata perché le ha ricordato il sud italiano: calore, colori, passione, sapori, odori, abbracci, risate, amori e disperazioni. Anna non è siciliana e nemmeno calabrese. Anna è veneziana.

A Venezia ci è nata e cresciuta, eppure nel sud del mondo lei si sente a casa. Ma anche Venezia è casa. Anzi Venezia è amore per Anna, di quegli amori che ti fanno soffrire un po’.  

anna
“Non fu per nostalgia del Messico. Volevo fare un regalo alla mia città, dare un’alternativa alla pasta e alla pizza e soprattutto dare un’alternativa ai Veneziani, sempre più circondati da ristoranti ad uso esclusivo turistico.”

Gli anni ’90 sono stati l’età dell’oro per il turismo a Venezia. Orde di turisti iniziano ad arrivare sempre più numerosi per mare, per terra e per cielo. Tutti ben disposti a pagare prezzi folli per ospitalità, cibo ed escursioni. Ed ecco quindi la Eldorado delle attività turistiche. Un momento storico che porterà Venezia a credere di poter vivere solo di turismo. Molti ristoranti iniziano a puntare su un’offerta mediocre spacciata per real italian. Tanto chissenefrega se le lasagne non c’entrano niente con Venezia, i turisti non lo sanno. La città inizia la sua irreversibile metamorfosi che la porterà all’ essere definita “un parco divertimenti per turisti”.

“Per me sostenibilità non vale solo per il cibo ma anche per gli esseri umani.”

Nel 1998 Anna decide di andare in controtendenza.

Crea un luogo che si rivolge a tutti, ma principalmente ai veneziani, restituendo loro l’accessibilità dei prezzi e un’alternativa gastronomica. Un ristorante messicano a Venezia,  adattato alle esigenze dei palati veneziani che rimane fedele a molti degli ingredienti originali. Ed ecco dove l’intercultura gioca un ruolo chiave.

Venezia
“Mi affido ad un rivenditore per i prodotti freschi, una piccola azienda a gestione familiare che produce a km zero. Ma non posso avere prodotti esclusivamente locali, così quello che faccio con molti ingredienti tipo jalapeno, avocado, mango, passion fruit e lime è selezionare con cura la provenienza per non alimentare situazioni scomode. Ti faccio un esempio: i cartelli messicani hanno il monopolio delle coltivazioni di avocado in Messico, quindi noi compriamo solo avocado proveniente dal Cile, dal Perù e mai dal Messico.”

Il ristorante si trova in un quartiere popolare di Venezia, uno dei pochi ancora frequentato dai veneziani. Vive della quotidianità di quartiere, quella fatta di abitudini, di clienti fedeli che dopo il lavoro passano a bersi “l’ombretta” (piccolo calice di vino della casa). Incontri tra amici e incontri tra viaggiatori e locali.

Anna è l’instancabile oste che corre da un tavolo di legno all’altro spiegando materie prime, metodo di cottura e origine del piatto. Ricerca e propone delle varietà di tequila da far impallidire ma continua a proporre lo spritz al select per l’aperitivo tipicamente veneziano. Qua la differenza sta nelle patatine. Niente busta, all’Iguanna l’accompagnamento perfetto per lo spritz è un cesto fumante di nacho prodotti nel laboratorio del ristorante.

spritz
“Anna, el messican xe el local più venessian che ghe sia” Il messicano è il locale più veneziano che ci sia.
filippo, detto pippo.

Quella di Anna è una cucina lontana dal luogo di nascita ma che inserita in un altrove crea il naturale scambio culturale di cui parla Montanari. È frutto dell’incontro e dello scambio nato durante lunghi i viaggi in Messico di Anna; dell’unione di materie prime veneziane e messicane; delle tecniche che rispondono a necessità di palati e mezzi. Tutto questo crea il nuovo. L’innovazione.

In tutto ciò l’interculturalità spalleggia largamente l’integrazione.

integrazione
“I ragazzi con cui lavoro oramai da qualche anno provengono da diverse parti del mondo, ma tutti oggi vivono a Venezia. Sono loro i nuovi veneziani ed è necessario capire che l’integrazione può essere una soluzione per ricreare quel tessuto sociale, distrutto negli anni da politiche ottuse che hanno dato vita alla sola monocultura del turismo. Oggi lo vediamo il risultato in tutta la città.”

A Venezia oggi ci sono i bar per turisti ed i bar per i locali. Ci sono le strade per i turisti e le strade per i locali. Ci sono i ristoranti per i turisti ed i ristoranti per i locali. Certo non troveremo alcun cartello esposto che ci ricorderebbe ben altre tragiche memorie; ma i veneziani la sanno bene la differenza tra cosa è turistico e cosa no. E da quello che è turistico ci stanno distanti.

“Se camminando vedi grandi menu con foto di lasagne alla bolognese e piattoni di pasta al pomodoro allora vai sicuro che è un ristorante turistico. Ma se per caso trovi una piccola osteria nascosta tra i cunicoli delle calli da cui arrivano risate sguaiate, allora xe venexiana”.
ANONIMO VENEZIANO

La pandemia ci ha fatto capire quanto può essere pericolosa un’economia basata su di un unico settore; il fenomeno “turismo di massa” ha smesso di essere Eldorado perché chi prima era disposto a pagare prezzi folli oggi si è fatto più furbo. E allora non sarebbe questo il momento giusto per affrontare un cambiamento? Per sradicare le vecchie ingiallite convinzioni e le zone comfort?

Anna ha iniziato a capirlo 22 anni fa e ha fatto un grande gesto d’amore verso la sua città: le ha regalato colori e sapori nuovi; soprattutto li ha resi accessibili a tutti.

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